Più cultura per progettare il futuro nelle aree non urbane dell’Unione Europea

La costruzione delle politiche culturali passa attraverso un dialogo continuo fra pratiche e politiche. Da una esperienza europea una proposta per il nostro Paese

Officina del sapere Ex Fadda, San Vito dei Normanni (BR)

Usufruire del diritto di partecipare alla vita culturale non può essere determinato dal luogo in cui scegliamo di vivere, né dalle nostre possibilità di viaggiare. Lo stabilisce l’articolo 27 della Dichiarazione universale dei diritti umani che afferma che “Ognuno ha il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di condividere il progresso scientifico e i suoi benefici”. È questo diritto di accesso, partecipazione e godimento della Cultura che è alla base del rapporto “The role of culture in non-urban areas of the European Union” uscito proprio mentre il mondo è sotto shock per la diffusione della pandemia, e mentre le misure per contenerla stanno stravolgendo, anche nel nostro continente, le modalità di fare e fruire cultura.

Il rapporto restituisce gli esiti dell’incontro organizzato all’interno del progetto “Voices of Culture” organizzato dal Goethe-Institut su commissione delle istituzioni europee, sul ruolo della Cultura nelle aree non urbane dell’UE. Il progetto “Voices of Culture” è parte integrante del “Dialogo strutturato con la società civile” previsto dagli accordi europei sul tema della Cultura, che punta a coinvolgere le esperienze di campo nella definizione di politiche europee più vicine ai cittadini, alle esigenze reali degli operatori e delle istituzioni culturali. Il rapporto che è stato presentato a fine aprile è una tappa di questo percorso, che prevede una selezione di candidati su temi specifici, in questo caso la Cultura nelle aree non urbane, il loro coinvolgimento in sessioni di riflessione congiunta, la produzione di un report contenente delle raccomandazioni e delle indicazioni di policy, il confronto a Bruxelles con i decisori, ossia i tecnici e i politici che mettono a punto le politiche di sostegno al sistema culturale.

L’incontro si è svolto il 4 e il 5 febbraio 2020 presso la Fagus-werk, una fabbrica di forme per scarpe progettate da Walter Gropius e Adolf Meyer e realizzata nel 1911, alla periferia della cittadina di Alfeld an der Leine in una conca tra boschi e colline, una cinquantina di chilometri a sud di Hannover. Risparmiata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, dal 2011 è patrimonio dell’UNESCO. In questa sede si sono incontrate circa 35 organizzazioni e istituzioni culturali, della natura più varia, pubbliche e private, provenienti da tutta Europa, per lo più operanti in aree non urbane. Quest’anno l’intero processo ha subito un rallentamento a causa della diffusione del virus COVID-19, ma nel frattempo i risultati degli incontri sono stati pubblicati e contengono molti elementi interessanti di riflessione.

L’obiettivo che è sembrato da subito chiaro a tutti è stato quello di utilizzare questo spazio di dialogo per denunciare i limiti dell’approccio urbano-centrico che caratterizza le politiche culturali in tutta Europa, e rivendicare il ruolo specifico che la Cultura gioca nel progettare il futuro delle aree che sembrano aver smarrito una loro funzione, una volta esaurita quella economica, e per le quali, in apparenza, non esiste un futuro. Come? Puntando sulla rigenerazione a base culturale. Il documento declina, infatti, la riflessione sulla Cultura in ambito di politiche territoriali e rivendica l’autonomia del valore della Cultura in sé, denunciando il fatto che troppo spesso, soprattutto nelle politiche europee, venga presa in considerazione solo nella misura in cui è in grado di contribuire ad altre agende politiche, sociali, economiche. La riflessione è stata centrata su tre temi, intorno a ciascuno dei quali è stato costituito un gruppo di lavoro: il primo tema è quello dello sviluppo della Cultura nelle aree non urbane, includendo fra queste le aree rurali e periurbane; il secondo ambito è quello delle zone rurali che hanno sofferto e soffrono di una economia caratterizzata dalla monocultura turistica; il terzo è quello dei territori colpiti dallo spopolamento e dei luoghi abbandonati.

Il rapporto è corredato da esempi – reti di musei territoriali (tra cui il Kesky suomen museum finlandese), festival teatrali in piccoli centri (Rostfest in Austria, Teatrdrama in Polonia, Conctat Zone in Italia, Germania e Danimarca), ecomusei (Astra, Romania), attività delle agenzie nazionali per lo sviluppo della arti “collaborative” (Irlanda) o per la promozione della creatività (Scozia), progetti di Università, tra cui il dipartimento di urbanistica del Politecnico di Milano e il centro di ricerche rurali dell’università SDU della Danimarca – che mostrano la varietà delle operazioni prese in considerazione, tra cui solo poche possono essere considerate “buone prassi”, ossia replicabili in altri contesti. Per ognuno dei tre ambiti che il documento affronta viene stillata una lista di proposte, suggerimenti che arrivano solo in qualche caso ad essere molto puntuali, a trasformarsi in indicazioni di policy. In termini generali, le proposte di policy rimangono molto generiche, e soprattutto sono troppe e troppo articolate.

LO SVILUPPO DELLA CULTURA NELLE AREE “NON URBANE”

Si sconta, nel report come in molti altri casi, una difficoltà a identificare con chiarezza i confini, di volta in volta considerati più “adatti”, “naturali” o in qualche maniera congrui per sviluppare progetti di trasformazione degli spazi, operazione non solo tecnica, ma squisitamente politica, che infatti produce divisioni in ambito amministrativo ed accademico, mostrando come la definizione di una mappa contenga già di per sé una proposta di trasformazione (si veda a questo proposito la nuova ”zonizzazione” dell’Italia disegnata dalla Strategia nazionale delle aree internequella identificata dal gruppo “Riabitare l’Italia”, oppure la proposta di classificazione territoriale avanzata in Francia dal collettivo di urbanisti e policy makers la Preuve par7, o ancora quella che sta mettendo a punto la Strategia nazionale spagnola contro lo spopolamento di quasi il 70 per cento del territorio nazionale).

Secondo il gruppo di lavoro il tratto che caratterizza il primo ambito di riflessione e proposta, quello più generico delle aree non strettamente urbane, è la transitorietà. Sono i luoghi dove il rapporto fra città e campagna si complica, diventa biunivoco, osmotico e dove il lavoro culturale è proprio su quel senso di identità mista delle comunità “transitorie”, composte da cittadini temporanei, pendolari, stranieri, ubiqui, che diventa spazio prezioso per sperimentare la costruzione di nuove pratiche di coesione sociale. Negli ambiti extra urbani, una opportunità è vista nella relativa maggiore accessibilità dei luoghi, mentre la debolezza è nella scarsità di risorse disponibili per fare cultura, considerando che in buona parte dei Paesi europei il finanziamento per le attività culturali è concentrato nelle città.

La considerazione forte dalla quale muove la riflessione, è che le attività culturali in città oggi siano sempre più escludenti, la monetizzazione a fini turistici e la competizione selvaggia rendono sempre più angusti i margini di operazioni culturali, i costi e i prezzi salgono, i fruitori diventano clienti e diminuiscono.

Gli spazi extraurbani si caratterizzano invece come luoghi di sperimentazione, collaborazione e inclusione, anche se appare debole la riflessione su come la Cultura possa tornare ad essere un servizio di cittadinanza, abbattendo tutte le barriere d’accesso. Su questo tema lavorano le reti di rigenerazione urbana su base culturale nate di recente in Italia, come “Lo Stato dei Luoghi” che già associa un gran numero di soggetti, di cui buona parte in ambito extraurbano, e che ambisce a un riconoscimento e a un dialogo strutturato con le istituzioni.

Per quanto riguarda lo specifico ambito dello “Sviluppo della cultura nelle aree non urbane” il gruppo di lavoro ha stilato ben 25 proposte e raccomandazioni che si rivolgono a livelli diversi. Il primo, quello della Commissione europea include 10 proposte, tra cui: un richiamo a una maggiore attenzione e conoscenza del sistema culturale delle aree extraurbane, un maggior coordinamento fra gli uffici, un coinvolgimento degli operatori culturali, proposte più puntuali legate a una presenza più riconoscibile del sistema di finanziamento culturale all’interno dei fondi strutturali, dei programmi europei Creative Europe ed Erasmus, e di una connessione con le misure di Green New Deal europeo. Il secondo è quello dei singoli Stati ai quali si richiede un maggiore coordinamento delle politiche culturali. Il terzo, infine, è un livello operativo in cui si richiede una maggiore attenzione al tipo di organizzazione da sostenere e al contesto in cui opera, quindi una maggiore flessibilità nell’erogazione di fondi, così come, senza mettere direttamente in discussione l’istituzione “bando” per l’erogazione dei finanziamenti, si suggerisce di fare maggiore attenzione alle condizioni di partenza dei progetti (spesso debolissimi).

IL RUOLO DELLA CULTURA NELLE ZONE RURALI FERITE DALL’OVERTOURISM

Molto interessante e per certi versi inedita ed estremamente pragmatica la riflessione che nasce dal secondo gruppo di lavoro, dedicato alle aree rurali afflitte dalla monocultura turistica, indicata come responsabile della subalternità di queste aree ai centri urbani, della loro riduzione ad ambito di servizio e di amenities per gli abitanti di città, che determina un deterioramento dell’ambiente, con fenomeni estesi di urbanizzazione di bassa qualità di campagne e coste, l’impoverimento e l’umiliazione di chi le vive. Qui si parla non tanto di ridurre il numero di turisti, ma di rafforzare la capacità dei luoghi fragili, di assorbirli senza esserne devastati, senza diventare prodotti di consumo.

La soluzione proposta è quella della dispersone turistica e di rendere più accessibili i luoghi senza danneggiarli. Nel rapporto viene rivendicato il ruolo insostituibile della Cultura per qualificare l’offerta, sicuramente, ma anche e soprattutto nel disegnare una strategia turistica equilibrata. Infatti, in un piano di rigenerazione l’arte diventa un connettore strategico e gli operatori culturali stessi diventano parte della soluzione perché sono gli unici in grado di costruire un ponte fra fruitori dei luoghi e abitanti, per ridurre le distanze con un linguaggio universale che superi anche le barriere linguistiche.

Le proposte e indicazioni di policy in questo caso sono più circostanziate, anche se i contesti nei quali dovrebbero essere applicate sono ancora molto diversi (una cosa sono le aree in crisi, ad esempio le aree sciistiche che soffrono per il ritirarsi della neve, un’altra quelle che sono ancora in piena crescita turistica) e in fase attuativa potrebbero presentare diversi problemi. Per quanto riguarda le azioni di sostegno economico agli operatori culturali, il gruppo di lavoro richiede una semplificazione delle procedure, in modo da renderle accessibili a tutti, anche ai singoli. Si torna a proporre forme di selezione dei progetti organizzate in due tempi, prevedendo un fondo per lo sviluppo del progetto da erogare a valle della prima selezione, finalizzato a costruire una migliore candidatura per la seconda fase selettiva. Viene denunciato come molto spesso le “partite di finanziamento” siano troppo grandi per i piccoli operatori che lavorano nelle aree rurali, che non possono gestire una sovvenzione di milioni di euro, mentre potrebbero gestire un progetto con un valore di poche decine di migliaia. Che sia dato un riconoscimento di interesse pubblico alle funzioni alle industrie creative in quanto tali, che siano favorite nei bandi le intersettorialità, le operazioni a cavallo fra, ad esempio, attività tradizionali e cultura, fra servizi sociali e arte. Non manca una proposta sulla funzione educativa che deve avere l’intervento pubblico anche se in termini generali, visto che in tutto il documento l’accento sull’interazione degli operatori culturali con la scuola e le istituzioni formative – che nel nostro Paese è invece considerato un tema centrale – è molto debole, se non del tutto assente. Una funzione educativa diretta verso i turisti, i fruitori perché siano spinti a un corretto “utilizzo” del territorio, verso i politici locali, perché riconoscano il valore non ancillare della cultura nel definire il valore turistico dei luoghi, verso gli stessi operatori culturali, perché possano esser messi in grado di fare una progettazione adeguata, e in ultimo verso i cittadini in generale, perché imparino a comunicare il loro territorio. Infine si fa un chiaro riferimento alla necessità di “democratizzare” il marketing del territorio, di aprirlo ai contenuti che via via vengono proposti dai cittadini, specie quelli in grado di smontarne gli stereotipi e i clichè che determinano la subalternità alla modernità.

LA CULTURA NEI TERRITORI COLPITI DA SPOPOLAMENTO E NEI LUOGHI ABBANDONATI

Il terzo tema, infine, quello del contributo che le politiche pubbliche possono dare per promuovere il cambiamento nelle aree caratterizzate da fenomeni di spopolamento, sempre a partire dal ruolo che può avere la cultura nel promuoverlo, è sicuramente il più debole, tanto in termini analitici, quanto di proposte.

Vengono fatte alcune considerazioni generali e avanzate alcune soluzioni, che rimangono quanto mai generiche. La prima considerazione riguarda il fatto che nelle aree rurali della gran parte dei Paesi europei ci siano meno fondi disponibili per i progetti culturali rispetto alle aree urbane, seppur questa mancanza di finanziamenti sia parzialmente controbilanciata utilizzando programmi di sviluppo rurale e regionale dell’UE per attività e investimenti culturali. Inoltre, viene messo in luce come lavorare in ambiti culturali nelle aree rurali rende meno che nelle principali aree urbane, anche perché non vengono considerati i costi di mobilità più elevati e i costi per lo sviluppo di progetti culturali, che sono più alti che in città a causa della mancanza di competenze locali.

Se ne deduce, quindi, che non c’è abbastanza comprensione dell’importanza della Cultura e dell’Arte a livello europeo, nazionale e locale, e si propone che la Commissione promuova dei progetti di ricerca e valutazione per raccogliere elementi sul valore della Cultura e dell’Arte per la qualità della vita rurale, e cerchi di creare consenso intorno ad azioni più incisive per sostenere il settore nelle aree penalizzate demograficamente. Viene inoltre raccomandato di coinvolgere le competenze locali e nazionali, compresi i giovani, nella costruzione di programmi istituzionali e di finanziamento per le arti e la cultura; di ancorare i processi decisionali a livello locale e di creare piattaforme a livello UE per lo scambio di reti e conoscenze nazionali e locali; di supportare le reti locali esistenti (ad es. Scuole di musica) come fattori moltiplicatori nel panorama culturale delle aree rurali. Viene fatto anche un cenno al fatto che investire sull’economia creativa nelle aree rurali potrebbe influire sull’attrattività di questi spazi come luoghi in cui famiglie, soprattutto giovani, possono stabilirsi e invertirne il trend demografico.

PERCHÉ STRUTTURARE UNO SPAZIO DI CONFRONTO CONTINUATIVO FRA PRATICHE E POLITICHE ANCHE IN ITALIA

In termini generali, il rapporto fa eco alla riflessione sulla rigenerazione su base culturale che è portata avanti da molti soggetti in ambito accademico, di politiche pubbliche e di pratiche in tutta Europa, che si propone di superare la frontiera tra la progettazione e l’uso degli spazi e dei luoghi. E per quanto fino ad oggi “Voice of Culture” sia uno spazio solo consultivo, che si affianca a un altro strumento, quello dell’OMC (Open Method of Coordination) fra le istituzioni culturali funzionale a coordinare le politiche europee, quello di strutturare un dialogo codificato tra i decisori e la società civile, in questo caso gli operatori culturali, sembra una strada per rendere più efficaci ed eque le politiche, perché la Cultura venga sempre più percepita come un diritto dei cittadini e un’opportunità di crescita in grado di produrre lavoro, al di là della retorica che la vede, in una logica del tutto estrattiva, come l’”oro nero” del nostro Paese.

È uno spazio che in Italia manca, anche perché di fatto fino ad oggi è mancato un riconoscimento del ruolo sostanziale che gli operatori culturali e del Terzo Settore giocano nel favorire la coesione fra cittadini, e fra cittadini e istituzioni.

La necessità di ricostruire il Paese dopo la devastante esperienza della pandemia passa attraverso il riconoscimento degli operatori culturali come attori di primo piano per la rinascita del Paese, e della cultura come valore in sé, strumento di resilienza e principio fondante della democrazia italiana.

ABSTRACT

Article 27 of the Universal Declaration of Human Rights states that: “Everyone has the right freely to participate in the cultural life of the community, to enjoy the arts and to share in scientific advancement and its benefits.” It is this right of access to, participation in and enjoyment of culture which sits at the heart of the report “The Role of Culture in Non-Urban Areas of the European Union”. 35 organization come together from across Europe in recognition that this right is not limited to our cities; equality of opportunity to participate in the cultural life of our community should not be denied by where we choose to live nor our ability to travel. In responding to the perceived urban-centric nature of cultural policy and its related actors across Europe, the group was tasked with exploring through three themes: developing culture in non-urban areas; rural areas burdened by over–tourism; territories affected by depopulation.

articolo originale uscito su AgCult, letture lente, 1 giugno 2020 qui

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