Il Cambiamento comincia dalle montagne

Anita scende dall’Ortles 2017

Il nostro paese, uno dei più densamente popolati d’Europa, è al suo interno segnato da profonde differenze. I tre quarti della popolazione si concentrano nelle città, sulle coste, nei fondovalle, in pianure che non sono più campagna ma nemmeno città. Un altro quarto, quasi 15 milioni di persone, vive in collina o sulle montagne, in quelle aree interne che rappresentano oltre il 60 percento del territorio nazionale, e che perdono popolazione.
Il pensiero dominante vuole che questo spopolamento sia l’esito naturale di un processo evolutivo dell’umanità che, libera finalmente dalla fatica delle campagna e delle fabbriche approda nella città, perenne laboratorio di modernità, dove il lavoro si smaterializza e il tempo si libera.

Ma sappiamo con certezza che non è così. La crescita degli squilibri territoriali in termini di sicurezza economica, di opportunità e qualità della vita è il frutto di una politica economica che concentra gli investimenti pubblici e privati solo nei segmenti più ricchi di popolazione e di territorio. La previsione che da lì poi si possano diffondere a beneficio di tutti si è dimostrata falsa. Oggi, ovunque, in città e nelle aree interne, crescono le ricchezze di pochi ma, in maniera molto superiore, crescono povertà e infelicità.

Nei piccoli centri migliaia di scuole hanno chiuso, sono scomparsi gli ospedali e non ci sono quasi più medici generici né ostetriche. I “rami secchi” delle ferrovie sono stati tagliati, le strade abbandonate. Dopo le scuole, hanno cominciato a chiudere gli uffici postali, i cinema, gli alimentari, le parrocchie. Con la crisi finanziaria del 2008 hanno ripreso vigore i flussi di emigrazione verso i grandi agglomerati urbani, che nel frattempo si andavano congestionando. Secondo l’Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale (ISPRA) nel 2019 in Italia sono stati impermeabilizzati con abitazioni e infrastrutture circa 2 metri quadrati al secondo di suolo, rendendolo più fragile di fronte ai terremoti, alle inondazioni. Siamo primi in europa per il numero delle automobili in circolazione, per la lentezza del traffico, per l’inquinamento atmosferico. Nelle zone più densamente popolate del paese la velocità del contagio del Covid ha fatto crollare le aspettative di vita degli italiani di oltre 4 anni.

Con un patrimonio culturale e naturale diffuso e ben conservato, fragili ma tutt’altro che povere, le nostre aree interne contengono buona parte delle energie che permettono ad un paese piccolo come il nostro di giocare un ruolo importante sul mercato globale nei settori dell’artigianato industriale specializzato e in quello agricolo, attraverso la grande varietà di prodotti che derivano da una agricoltura estremamente diversificata.

Proprio per questo motivo, nel 2012, su impulso dell’allora Ministro Fabrizio Barca, è stata lanciata una politica per contrastare il declino demografico delle Aree Interne, che ha mostrato che lo spopolamento porta con sé anche lo spazio per sperimentare soluzioni inedite ed efficaci in grado di fornirci le coordinate per una reale transizione ecologica dell’economia.

Storie poco note ma non episodiche, che contengono in un nuce una proposta di futuro per l’intero paese, e che nella disattenzione generale stanno riportando vittorie sui territori, dalla chiusura di impianti inquinanti al riconoscimento dei diritti della diversità, alla rigenerazione a uso sociale e culturale degli spazi, alla nascita di nuove economie che hanno fatto del contrasto al cambiamento climatico il motore della loro crescita.

Un documento contenente 15 proposte per il futuro, che raccoglie la domanda di protagonismo politico che proviene dai giovani delle aree interne, è stato collettivamente elaborato perché possa informare le decisioni pubbliche e rompere la “trappola dei bisogni” che impedisce loro di desiderare. Promuovere la democrazia locale, ripristinare i servizi essenziali, mappare e riassegnare le terre pubbliche e private abbandonate. Che i beni immobili pubblici e privati inutilizzati possano diventare presidi socioculturali, che la scuola si concentri sul patrimonio ambientale locale, che si favorisca la nascita di comunità energetiche.
Prendere sul serio queste proposte è indispensabile. Del resto sono gli obiettivi delle stesse politiche di Coesione europee. In gioco c’è una questione di equità, in un paese dove segmenti sempre più grandi di cittadinanza vengono marginalizzati nelle scelte sui luoghi dove vivono, e una di fiducia, una fiducia che si era sorprendentemente attivata nella reazione alla prima fase della pandemia che ora appare dispersa per l’incapacità della politica di coglierne la portata progressiva. La base per un confronto poco ideologico, estremamente pragmatico, e che restituisca alla politica lo spazio per svolgere al meglio la propria funzione, quella di fare sintesi.

dav

Questo articolo è uscito sul settimanale L’Essenziale l’11 dicembre 2021

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