Il nostro paese sembra smarrito di fronte all’improvviso precipitare di una crisi che in molti luoghi era visibile da almeno un decennio. Poco ottimismo, incapacità di immaginare un futuro, di progettare, anche solo da qui a dieci anni. Oggi, anche il “villaggio artigiano Modena ovest” non sfugge a questo mood, è un’area industriale come tante altre, incolore e un po’ cadente, conquistata dalla città diffusa che si dirama lungo la via Emilia. Sorge in un’area acquistata dal primo sindaco comunista del dopoguerra, perché gli operai licenziati per motivi politici durante il fascismo e la guerra potessero aprire dei laboratori e mettersi in proprio. Tra questi Ruggero Camellini, tornitore, che a 16 anni salì in montagna con i partigiani, e sapeva aggiustare le mitragliatrici che si inceppavano. E’ morto da poco, e io e Sara siamo venuti a riprendere con la videocamera il suo laboratorio, prima che il figlio rada al suolo l’edificio e mandi in discarica tutto quello che contiene.
Si tratta, in effetti, solo di un vecchio capannone; circa 400 mq piuttosto cadenti strapieni di oggetti polverosi, di grandi macchine da lavoro, ferri contorti ammucchiati ovunque, pezzi di bicicletta appesi al soffitto, libri, riviste. Un inventario di oggetti e piccoli utensili ci sovrasta da scaffalature cresciute disordinatamente, alte 4/5 metri.
Muovendosi in questa cattedrale caotica, però, si scoprono angoli, separati da contrafforti strabordanti, nei quali è possibile riconoscere dei brandelli di vita lavorativa di questo personaggio carismatico, di intuirne i processi mentali. C’è un’intera area dedicata all’ ottica: cannocchiali rotti, binocoli, lenti di ingrandimento, vetri, specchi, una grande e polverosa enciclopedia dell’ottica; in un’altra area, decine di calcolatrici elettroniche di tutte le dimensioni e di tutte le epoche, in parte smontate, si ammucchiano su ripiani in mezzo ad altri oggetti. In fondo, vicino alla vetrata di accesso, lì dove entra diretta la luce del sole, il suo tavolo da lavoro con sopra l’urna delle sue ceneri, e una sua foto. Non era un collezionista, dice Beppe, ex prete operaio, poi insegnante di italiano e latino, che ci guida in questo sopralluogo; era un raccoglitore. Gli operai e gli artigiani di tutta la città sapevano che da lui era possibile trovare non solo i pezzi per ogni esigenza, ma anche le soluzioni ai problemi meccanici che via via si ponevano col crescere del settore. Per Margherita, che insegna politica economica all’Università di Modena, appassionata di innovazione, questo è veramente l’“antro” delle meraviglie, e fruga contenta. Ciò che entusiasma Margherita non sono gli oggetti, per quanto curiosi, ma lo scoprire il processo che ha generato quella straordinaria commistione; Camellini smontava e rimontava, studiava, imparava, produceva quella cultura materiale artigianale che ha contribuito a fare di Modena, con la sua Ferrari, Lamborghini, Maserati, uno dei distretti meccanici più famosi del mondo.
Ed è bella Modena, piatta, austera e ricca come il suo splendido duomo romanico e sfolgorante come i marmi bianchi della torre della Ghirlandina, simbolo della città, abbaiante in questi giorni di sole dopo un restauro che è durato anni. Conta oggi quasi 200 mila abitanti, 650 mila nel suo territorio. E’ delle prime città d’Italia per il numero di donne che lavorano, per la qualità e quantità dei servizi per l’infanzia, per il numero di immigrati regolari, nonostante l’alto costo delle abitazioni; un luogo dove ci si muove facilmente lungo centinaia di kilometri di piste ciclabili, anche se la notte non ci sono autobus. Siamo nel mezzo della Italia laburista, democratica e popolare, con scuole professionalizzanti e uno scarso numero di laureati. Il reddito pro-capite è in linea con le aree europee più avanzate, come i Länder tedeschi o alcune regioni dei paesi scandinavi. Ma è anche una città estremamente conservativa, che difende strenuamente quell’equilibrio fra poteri ed interessi che fino ad oggi ha garantito benessere e buona amministrazione; un equilibrio che però paralizza l’azione amministrativa, smarrita davanti alle sfide nuove che pone l’economia dei flussi, l’immigrazione, la finanza, la crisi della politica.
E’ soprattutto una città con una capacità di proiezione notevolissima. A Modena ci sono 67.000 imprese, una ogni 10 abitanti, un indice tra i più elevati in Europa: economia del metallo, artigianato industriale e agricoltura, cultura, Modena primeggia nel mondo in tutti e tre i settori, dalle automobili alle ceramiche, dall’aceto balsamico a Pavarotti.
Ed è questa capacità che oggi si teme di perdere. Per questo motivo, per alcuni anni, mi sono trovato coinvolto in un percorso di ricerca “a ritroso” sulle origine di questa capacità di proiezione, il “genio di Modena”. Come in buona parte della “terza Italia”, è nell’evoluzione industriale di abilità artigianali locali che ha origine questa capacità di innovazione. In un garage un artigiano ultranovantenne mi ha mostrato un carro armato americano trasformato in un trattore e riadattato per essere alimentati con il gas e il petrolio proveniente dai giacimenti di Cortemaggiore, poche decine di km più ovest sulla via Emilia. In una cascina ho visto motociclette montate con pezzi di latta nel dopoguerra, ancora perfettamente funzionanti.
Parlando di innovazione, alcuni anni fa ho conosciuto un ingegnere dell’Alfa Romeo in pensione, liutaio per passione. Mi racconta che durante la fase sperimentale del motore per l’ Alfa sud, negli anni sessanta, l’orecchio da liutaio gli aveva permesso di percepire delle ruvidezze nel suono, qualcosa di stridente. Ne aveva parlato con il capo progettista, e l’impresa, che in quegli anni come molte imprese pubbliche interessata a primeggiare più che a distribuire dividendi, aveva accettato di ritardare l’uscita del motore per provare a risolvere questo guaio. L’industria meccanica è relativamente recente, e questo legame fra meccanica e musica, più esattamente tra il lavoro metalmeccanico e la liuteria, che si ritrova in più posti, in occidente (le città della meccanica spesso coincidono con le capitali della liuteria) e oriente (basti pensare alla Yamaha, che fa strumenti musicali e motori, o alla Mitsthbishi, che nel logo ha un liuto), è forse qualcosa di più che una coincidenza, una suggestione, forse una traccia per ricercatori avventurosi…
Modena, 11 gennaio 2012